09 luglio 2010

l'acqua non si vende: una questione di civiltà, non solo di denaro

A conclusione della raccolta firme per i tre referendum sull'acqua oggi ad Alessandria si é svolto un dibattito pubblico dal titolo " I quesiti referendari, il contesto normativo, il quadro locale ".
Erano previsti gli interventi del prof. Ugo Mattei (uno tra i promotori ed autori dei quesiti) e del nostro conterraneo direttore dell'ATO6.

Argomentata e convincente l'esposizione del prof. Mattei, ricca di spunti da approfondire. Ne richiamo alcuni qui di seguito, e continuerò a farlo nei prossimi mesi, visto che, raggiunto il primo traguardo del milione di firme, ora bisognerà moltiplicare i nostri sforzi per vincere i referendum.

Il direttore dell'ATO6 ha iniziato il suo discorso (da "tecnico" che, di malavoglia, spiega la materia
ad una platea di idealisti / estremisti) affermando che la forma di gestione del servizio idrico é indifferente (avvenga tramite enti di diritto pubblico o tramite società commerciali, di diritto privato, e in quest'ultimo ambito, attraverso società a controllo pubblico o società a controllo privato) purchè siano garantiti "efficienza, efficacia, economicità".

Io non la penso così, e come me, posso testimoniare, ragionano le centinaia di persone con cui ho parlato in questi mesi: per tutti noi non è solo e non tanto questione di costi, di convenienza economica, ma é viva la consapevolezza che non si può consentire ad una classe dirigente screditata come l'attuale di consegnare agli appetiti di monopolisti privati un bene di tutti, essenziale per la vita, da custodire per le generazioni future.

Se ne facciano una ragione: gli amministratori delle società commerciali (chiunque le controlli, pubblico o privato che sia) hanno il dovere di massimizzare i profitti dei loro azionisti e perciò si comportano sempre di conseguenza. Invece le persone vere, non quelle idealizzate dai teorici del liberismo, in gran parte non ragionano con la stessa logica egoistica e hanno ben presenti (senza bisogno di troppe teorie, visto che
la società che mette gli individui in sfrenata competizione tra loro crea i disastri che sono sotto gli occhi di tutti) i motivi per cui con i beni comuni non si possono fare profitti privati.

Sarà dura ma, agli scettici che sostengono che anche questa volta non si raggiungerà il quorum di almeno il 50 per cento di votanti, dobbiamo ricordare che, dal 1970, i referendum che sono stati vinti, e ce ne sono stati, hanno cambiato la storia del paese, ne hanno segnato la civiltà, e a promuoverli sono sempre state minoranze non allineate con il "buonsenso" dominante.

Dobbiamo farcela e ci riusciremo.

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