In un recente incontro a Cantalupo Ligure tra le comunita' montane della provincia e funzionari regionali e' stata riproposta per la nostra zona l'ipotesi di produrre energia da biomasse forestali.
Gia' nel 2001 nella nostra valle se ne era discusso, con forti opposizioni della popolazione che indussero a non dar seguito al progetto che prevedeva la realizzazione di un impianto a Fabbrica Curone o a Monleale.
Nell'estate 2005 e' stato il turno di " Bosco fiorito Oltrepo' ", un altro progetto, promosso a Varzi da una societa' mista pubblico-privato. Anche la nostra comunita' - esercitando more solito una delega in bianco concessa appena una settimana prima dal consiglio senza particolare discussione - intendeva aderire a questa societa' sottoscrivendo il 5 per cento del capitale (ossia 50.000 euro su un totale di 1.000.000 di euro).
Ai seguenti link - a, b, c - si possono leggere i resoconti delle varie fasi della vivace discussione che ne e' seguita a Varzi e in valle Staffora.
Anche in questo caso l'opposizione dei cittadini ha portato al ritiro del progetto.
Qualcuno ha allora scritto al settimanale Sette giorni su cui e' uscito - senza firma, come e' stile consueto dalle nostre parti - un articolo di critica a chi dice sempre "no" e cosi' frena ogni iniziativa di sviluppo nelle nostre valli appenniniche.
Per mio conto, ho seguito la discussione di Varzi, ho assistito prendendo appunti al Consiglio comunale aperto ed ho cercato di farmi un'opinione basata su dati verificabili.
L'esempio sempre citato dai fautori delle centrali a biomasse e' quello della centrale valtellinese di Tirano, di potenza analoga (1Mw) a quella di cui si e' discusso a Varzi.
Sono andato a leggere la relazione al bilancio 2005 della societa' che la gestisce.
Di seguito riporto le percentuali di provenienza del combustibile impiegato:
- segherie Valtellinesi e Camune 86,6%
- interventi di manutenzione dei boschi di Valtellina, ValCamonica, Engadina e Parco Monza 11,6%
- manutenzione verde urbano (SECAM e Comune Tirano) 1,7%
- varie (potature vigneti e privati) 0,1%
L'impianto "modello" quindi dipende per la gran parte delle forniture di materia prima da una filiera industriale - non agricola - che non esiste nelle nostre zone.
Il fabbisogno di materia prima di impianti consimili, rapportato alla superficie boschiva, e' ben descritto in uno studio condotto nell'appennino bolognese.
Cito:
" Per calcolare il fabbisogno forestale per la produzione di energia elettrica, si consideri che poiche' l’efficienza di conversione si aggira intorno al 20%, per ogni kW di elettricita' occorreranno 5 kW di energia termica (anche se efficienze del 25-30% sono riportate in recenti progetti commerciali).
Per un impianto di piccole dimensioni della potenza di 1 MW occorrera' quindi utilizzare 18680 m3/anno, ottenibili per quanto detto piu' sopra (assumendo cioe' una produttivita' media di 4 m3/ha/anno) dalla gestione sostenibile di ha 4.670 di bosco assestato.
Per meglio immaginare quale sia la superficie interessata, essa equivarrebbe ad un’area di circa 10 x 4.5 km di lato; nella realta' l’area interessata sara' ben maggiore, vista la dispersione delle aree realmente utilizzabili sul nostro Appennino.".
Non esistono pero' nella nostra zona le condizioni per un apporto di materia prima dai boschi che possa essere preponderante rispetto ad altre fonti.
Cito altri dati, estrapolati dal censimento agricolo ISTAT 2000 :
- superficie boscata di tutti i 19 comuni della Comunita' Curone - ha 3.003
- superficie boscata di tutti gli 11 comuni della Comunita' Borbera - ha 2.921
Ancora dallo studio emiliano:
" ... le superfici forestali necessarie per alimentare impianti di questo tipo sono infatti non indifferenti. La scelta di impianti di piccole dimensioni per il riscaldamento domestico, di piccole comunita' o al piu' per il teleriscaldamento di limitate aree urbane, invece, limitando le superfici interessate rende il problema della organizzazione delle attivita' realmente gestibile.".
Queste conclusioni sono condivisibili, e collimano con l'esperienza della Val Borbera, dove esiste un progetto dimensionato alle esigenze di riscaldamento di edifici pubblici.
Per impianti grandi anche solo quanto quello progettato a Varzi si tratterebbe quindi di far arrivare la legna (anzi, il cippato) da fuori, anche da lontano.
Sempre a Varzi, a specifica domanda e' stato risposto poi che tecnicamente l'impianto potrebbe anche bruciare rifiuti, ma che ci si sarebbe impegnati a non farlo. Il problema, dico io, e' che una societa' commerciale deve quadrare i bilanci e fare utili, altrimenti fallisce. Quindi le garanzie di questo genere sono un po' aleatorie.
Con riferimento infine ad una realta' a noi vicina, in un recente articolo esprime quasi gli stessi concetti il presidente del parco dell'Antola.
Cito:
C’e' - infine - il tema dell’utilizzo del bosco (in termini tecnici biomassa), che va gestito da una forte regia pubblica e tramite tecnologie e progetti di avanguardia finalizzati prima di tutto al mantenimento del “capitale” e alla difesa del suolo; cio' per non rischiare di trasformare una risorsa che e' anche una opportunita' di lavoro e guadagno per molti nell’ennesima servitu' della nostra montagna, soprattutto se lasciata alla libera iniziativa di pochi, magari estranei al territorio ma in grado di cogliere le opportunita' di contribuzione pubblica, disponibili in particolare per la realizzazione di impianti di cogenerazione.
C’e' chi e' convinto che nella sola Alta Valle Scrivia si potrebbero prelevare quantita' di legname non inferiori alle 30.000 tonnellate/anno da bruciare in impianti di cogenerazionefino a 5 MegaWatt di potenza (elettricita' + calore).
Premesso che il rendimento descritto per tali impianti sarebbe piuttosto basso (circa 20% elettrico e 40% totale, calore compreso) probabilmente per l’uso di tecnologie obsolete e riciclate, quali studi e ricerche tecniche supportano l’ipotesi di un prelievo di legname cosi' elevato nel tempo?
E’ giusto poi sapere che il prezzo da pagare sarebbe la realizzazione di una miriade di piste di esbosco su versanti ripidi e franosi (pensate alla Val Pentemina o alla Val Brevenna) le cui conseguenze idrogeologiche ricadrebbero, tutte intere e pesantemente, sulla comunita', a monte come a valle; nel frattempo, una volta terminata la copertura contributiva pubblica, l’impianto realizzato, non piu' attivo economicamente, diventerebbe l'ennesimo scheletro o funzionerebbe con il legname importato, a costi largamente inferiori, dalla Slovenia o dalla Romania: con quali vantaggi?
La realta' e' che gli unici impianti di tale tipo nella nostra Regione funzionano a livello sperimentale, su piccole potenze, in aree dove il legname e' ben piu' abbondante, raggiungibile e lavorabile da mezzi meccanici.
E’ vero: il bosco e' una ricchezza del nostro territorio e va gestito e coltivato: ma non dilapidando in pochi anni, per alimentare imprese redditizie solo grazie ai contributi pubblici, un patrimonio che appartiene a molti e che, utilizzato con lungimiranza, puo' garantire la sua funzione di difesa del suolo e contemporaneamente procurare benessere ai residenti; a tale scopo va incentivato l’uso di tecnologie innovative, e disponibili a molti, tanto sul fronte del prelievo del legname che su quello dell’utilizzo economico, puntando alla realizzazione diimpianti di “cippatura” di dimensioni piu' contenute in grado di essere gestiti a livello di valle, nonche' alla coltivazione di specie di qualita' e al recupero di attivita' tradizionali come la produzione del carbone.
Non si puo', in nome di un ”manifesto ecologico” privo di reali contenuti pratici, accettare la perdita di un patrimonio che i nostri vecchi, anche nei momenti di maggiore difficolta'economica, hanno sempre gestito e usato con intelligenza e lungimiranza e che oggi puo' costituire, fra l’altro, il punto di partenza della nostra piu' importante prospettiva economica,il turismo.Ci troveremmo davanti all’ennesimo caso in cui una risorsa perderebbe le caratteristiche di opportunita' per diventare una servitu' gestita lontano dai reali interessi della nostra gente.
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