23 agosto 2007

acqua e montagna: attuale la lezione di don Milani

A questo link si puo’ leggere il testo di una lettera, che (cito dal sito: villaggiodeipopoli.org), “ e’ stata scritta nel lontano 1955 a Ettore Bernabei,direttore del quotidiano cattolico Giornale del Mattino, da don Lorenzo Milani. Don Milani racconta di come la legge per la montagna 991 permetta a meta’ (nove famiglie) della sua piccola comunita’ di accendere un mutuo per gli impianti idraulici. E' caro, ma ci si potrebbe stare; purtroppo pero’ il proprietario di una sorgente da cui don Milani aveva chiesto il permesso di attingere, dopo averglielo accordato, adesso rifiuta.”.

I
l testo “offre, a partire da una situazione locale e ormai datata del nostro paese, alcuni spunti di riflessione che sembrano ancora attuali.


Attuali specialmente per la nostra valle, aggiungo: non solo perche' la legge 991 contiene anche i criteri di “montanita’” degli enti locali ed e’ agli onori delle cronache in questo periodo in cui si intende ridiscuterli, ma perche' la situazione di cui parla don Milani descrive un contesto analogo a quello delle nostre zone nel secondo dopoguerra.

Provo a compiere un breve excursus storico, per poi esprimere alcune considerazioni.


Nella maggior parte dei nostri paesi gli acquedotti furono realizzati dai nostri padri, dagli anni 30 fino ai 50, lavorando in proprio con pala e piccone. Anche da noi negli anni 50 la 991 ha consentito di affrontare le spese necessarie per creare ex novo gli impianti o renderli piu’ funzionali, costruendo ad esempio i serbatoi di accumulo (i "depositi"). Erano (ma ne esistono ancora molti) acquedotti “rurali" o “consortili”, in quanto realizzati da consorzi tra gli abitanti di ciascuna frazione o di ciascun comune.

A partire dagli anni 60 aumentano sia le esigenze sia i costi di manutenzione, e cambiano anche i modi di finanziamento. In particolare esce la legge 4/2/1963 n. 129 "Piano Regolatore Generale degli Acquedotti" seguita dalle “Norme delegate" del dpr 1090/1968 che prevedono: "per la costruzione, l'ampliamento e la sistemazione degli acquedotti previsti nel Piano regolatore generale degli acquedotti (...) il ministro dei Lavori pubblici è autorizzato a concedere ai Comuni, ai loro consorzi e agli altri enti autorizzati a gestire gli acquedotti (...) un contributo in capitale superiore al 70% della spesa ”.
Si creano nuovi acquedotti comunali (in cui proprietario della rete e’ il comune e non il consorzio) oppure i comuni subentrano ai consorzi. A loro volta, i comuni si consorziano tra loro per creare e gestire gli acquedotti, fino a che, nel 1996 nasce il "Consorzio Azienda Acquedotti Valli Borbera Curone Grue e Scrivia", da cui e’ scaturita ABC (Acquedotti Borbera Curone) Srl (le cui quote di capitale sono state sottoscritte dai comuni e dalle due comunita’ montane). ABC Srl ha poi conferito gli acquedotti ad AMIAS Srl che, con ASMT Tortona Srl e ACOS Novi Ligure Spa (le due municipalizzate, partecipate entrambe da Iride Spa, un gigante quotato in borsa), ha da ultimo dato vita a "Gestione Acqua Spa", per seguire le dinamiche imposte dalla "Legge Galli" del 1994 che, rivoluzionando il settore, ha imposto di creare il SII (sistema Idrico Integrato , comprendente captazione, distribuzione e depurazione delle acque – non invece gli usi irrigui).

Il SII, secondo la legge Galli, deve essere organizzato in ATO (Ambiti Territoriali Ottimali). Ogni ATO deve avere un unico gestore del SII. Lo scopo dichiarato era quello di ridurre la frammentazione, di fatto e’ stata la porta aperta ai tentativi di privatizzare il settore (se si impone, come vorrebbero settori dell'attuale governo, che il gestore del SII debba essere una societa’ di capitali).
Contro la privatizzazione e’ nato un movimento che ha raccolto 400mila firme su una legge di iniziativa popolare ora depositata in parlamento (migliaia di firme sono state raccolte anche nella nostra provincia).

Per tornare al locale, "Gestione Acqua Spa" e AMAG Alessandria Spa (la municipalizzata alessandrina) hanno quindi dato vita ad APSE, che da quest'anno dovrebbe essere il gestore unico del SII.

La situazione non e’ pero’ semplice. In questa tabella e' descritto il complesso assetto della rete nella nostra valle. C'e' da aggiungere che pressoche’ tutti i nostri comuni, senza particolare entusiasmo, hanno aderito all'ATO e conferito a Gestione Acqua sia la gestione degli acquedotti comunali sia la depurazione. Gli abitanti o sono direttamente allacciati alla rete dell'acquedotto di valle, o dipendono da acquedotti comunali, nel qual caso la rete e’ del comune, ma la gestione, formalmente, di solito compete a Gestione Acqua, o sono allacciati ad acquedotti consortili (e anche in questo caso, e’ possibile che in diversi casi la gestione sia stata disgiunta dalla proprieta’ della rete ed attribuita alla Spa).

In provincia, tuttavia, diversi comuni non hanno conferito la gestione degli acquedotti comunali al gestore unico del SII dell’ATO (per motivi di principio ma anche perche’ la gestione in economia nei fatti risulta meno costosa e piu’ efficiente). Non mancano le pressioni per dissuaderli da una linea di condotta legittima e sacrosanta, agitando lo spauracchio, di dubbio fondamento, che la mancata adesione rischi di precludere l'accesso ad una buona fetta di finanziamenti pubblici.

Anche se con questa elencazione di dati non sono riuscito a rendere l’idea, sono convinto che, per chi avesse tempo e voglia di studiarla a fondo, la storia dell’acqua nella nostra valle dal secondo dopoguerra ad oggi sarebbe istruttiva sotto tanti aspetti.

Su questo tema l’esigenza di una discussione politica e’ forte: ne sono consapevoli anche gli amministratori. Uno dei rari momenti di autentico dibattito in consiglio di comunita’ montana c’e’ stato proprio allorche’ si e’ approvata la mozione di appoggio alla campagna per la ripubblicizzazione dell’acqua.

Ci vorrebbe pero' il coraggio di esprimere e difendere con forza le proprie convinzioni.

Sono ancora attuali per la classe politica locale le parole di don Milani rivolte ai politici di cinquant’anni fa:


Saremo perdonati dunque anche se in questa occasione di potere non avremo saputo mostrare al mondo cosa sappiamo fare. Ma guai se non avremo almeno mostrato cosa vorremmo fare. Perche’ il non saper far nulla di buono e’ retaggio d'ogni creatura. Sia essa credente o atea, sia in alto o in basso loco costituita. Ma il non sapere cosa si vuole...”.

Proprio questa e’ l’impressione: che non si sappia cosa si vuole, e che l’unica idea sia quella dello “sviluppo” senza troppi aggettivi, risolta nel fare i mallevadori per lo sfruttamento del nostro territorio da parte di chiunque abbia un’idea purchessia e voglia e modo di perseguirla.

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